


Un gap di conoscenza che la buona letteratura può contribuire a colmare. E anche il buon cinema. L’ha dimostrato

Una formula, quest’ultima, che a Elif Shafak – la più brillante tra le “nuove” voci della narrativa turca – provoca l’orticaria. «Le persone che credono allo “


Leggendo le sue opere, come anche quelle dei tanti giovani scrittori mediorientali che finalmente iniziano a popolare i cataloghi delle nostre case editrici, chiunque

Sì, perché può capitare persino che qualcuno, parafrasando Nanni Moretti nel film Ecce Bombo (1978), si lasci andare a un «ve lo meritate… Ahmadinejad». No, non se lo meritano affatto. E non soltanto perché l’Iran, malgrado la collocazione geografica, non sia un paese arabo. Né per via degli antichi fasti persiani. Neanche gli iracheni, del resto, meritavano Saddam. E l’Afghanistan meritav


Parliamo di autori già affermati nel nostro paese come l’egiziano Ala Al-Aswani che, dopo il successo di Palazzo Yacoubian (Feltrinelli 2007, pp. 219, € 7,50), ha appena pubblicato Se non fossi egiziano (Feltrinelli, pp. 219 € 16,00), ritratto impietoso e sarcastico dell’Egitto contemporaneo. O anche degli iraniani

Ma le vere protagoniste di questa prima metà del 2009 sono le narratrici: giovani di cui sentiremo sempre più spesso i nomi, imparando – con qualche difficoltà – a pronunciarli. Se per leggere l’attesissimo Le cose che non ho detto, il nuovo romanzo autobiografico di Nazar Afisi – già autrice del celebrato Leggere Lolita a Teheran (Adelphi 2004) – il cui arrivo in libreria è previsto solo per ottobre sempre per le edizioni di Roberto Calasso, sono già molti i loro titoli ancora sugli scaffali che meritano di essere letti.

Piemme ha da poco pubblicato La collezionista di storie (pp. 320, € 17,50), romanzo d’esordio di Randa Jarrar. Nata nel ’78 in America da padre palestinese e madre greco-egiziana, Randa è cresciuta in Kuwait, paese da cui è fuggita verso l’Egitto con la famiglia nel ’90 all’epoca della prima guerra del Golfo per poi stabilirsi negli States. La protagonista del libro è Nidali, alter ego dell’autrice, una ragazzina spensierata che conosce a memoria il Corano ma non indossa il velo, cresciuta nel mito di Wonder Woman e appassionata di pop. Tutto fino a quando Saddam compare in tv per dichiarare guerra al paese…
Altra scrittrice al debutto – con L’età degli orfani (Rizzoli, pp. 308, € 19.50) – e
anch’essa espressione di culture diverse, è Laleh Khadivi. Chi meglio di lei – nata nel ’77 a Esfahan, in Iran, curda per via di padre e iraniana per via materna – poteva raccontare la storia di Reza, il bambino che, per evadere da una quotidianità di povertà, sognava di volare in alto come gli uccelli e si ritrova nemico di se stesso, diventando soldato e andando incontro allo sterminio del suo stesso popolo? Durante la rivoluzione di Khomeini, Laleh è fuggita con la famiglia negli Stati Uniti, così come ha fatto anche la sua coetanea e collega Porochista Khakpour, iraniana di Teheran. Di Porochista Bompiani ha appena pubblicato Figli e altri oggetti altamente infiammabili (pp. 424, € 19,00), coinvolgente quant
o esilarante epopea familiare che fa del giovane Xerses un personaggio che ricorda l’Arturo Bandini di John Fante. Come Arturo, Xerses, irrequieto immigrato di seconda generazione, vive le sue origini come un fardello inconfessabile, amato e imbarazzante al tempo stesso. Da una parte il desiderio di crearsi una definitiva identità a stelle e strisce e finalmente integrarsi, dall’altra l’ironia di un destino che mette sulla sua strada una bellissima ragazza iraniana.
Da segnalare anche Quando Nina Simone ha smesso di cantare (Einaudi, pp. 139, € 14,50
) della quarantenne libanese Darina al Joundi. La protagonista è una donna giovane e bella. Forse troppo libera in una città, Beirut, incattivita da un’interminabile guerra civile fatta di massacri, fame e paura. Una notte, dopo la morte del padre, viene picchiata e ricoverata in un manicomio. Sopravviverà fingendosi pazza e scrivendo la sua storia. «Mio padre – ha raccontato – m’ha fatto conoscere le diverse religioni, non voleva che avessi un solo Dio. E proprio perché conosco i testi sacri ho deciso di rifiutarli. Le guerre vengono sempre combattute in nome di qualche fede, anche se tutte le fedi predicano solo l’amore. E nel Medio Oriente, dove sono nata e vissuta, le parole di Dio pesano come macigni sulla vita degli esseri umani».
Più giovane di Darina è Rajaa Alsanea (Riad, 1980), esordiente di successo con Ragazze di Riad, pubblicato lo scorso anno da Mondadori e ora ristampato nella
collana Oscar grandi bestsellers (pp. 331, € 12). Proveniente da una famiglia di medici e odontoiatra lei stessa, Rajaa vive attualmente a Chicago ma assicura che tornerà in Arabia Saudita quanto prima. Il libro, pubblicato in lingua originale nel 2005 con il titolo Banat al-Riyadh, è stato proibito in Arabia Saudita a causa del suo contenuto controverso ma è stato tradotto in venti lingue. Il tema è presto riassunto: quattro giovani studentesse universitarie, espressione di famiglie benestanti e privilegiate, sono alla ricerca dell’amore. Si potrebbe parlare di un Sex and the city in salsa araba, se non fosse per un piccolo dettaglio: la loro città è Riad, capitale dell'Arabia Saudita, e la società nella quale si muovono impone un numero infinito di restrizioni, dettate dalla famiglia e dalla comunità. Un romanzo trasgressivo, ma non quanto
quello di Najwa Barakat, giornalista libanese (Beirut, ’60) trapiantata a Parigi: Ya salam! (Editore Epoche 2007, pp. 170, € 13,50) è il primo romanzo mediorientale a strizzare l’occhio al pulp e alla cinematografia di Quentin Tarantino. Niente eroine sdolcinate alla Sherazade. Nulla a che vedere le commedie dolcieamare del premio Nobel egiziano Naguib Mahfuz o con il crudo minimalismo del marocchino Mohammed Choukri. Nessun nemico precostituito (americani, maschilisti o chissà chi altro). Ya Salam! – col punto esclamativo – è un pugno nello stomaco e soprattutto è politicamente scorretto al punto da raccontare il conflitto libanese dalla parte degli aguzzini a mo’ di Le benevole di Jonathan Littell. Mettendo definitivamente nel ripostiglio l’erotismo retrò de Le mille e una notte.


Da segnalare anche Quando Nina Simone ha smesso di cantare (Einaudi, pp. 139, € 14,50

Più giovane di Darina è Rajaa Alsanea (Riad, 1980), esordiente di successo con Ragazze di Riad, pubblicato lo scorso anno da Mondadori e ora ristampato nella


Approfondimenti:
8 commenti:
grazie . sono assolutamente in linea con te .
charles spansky
Bell'articolo, Rob. Mi piace anche come affronti il tema delle narrazioni di mondi apparentemente diversi dal nostro ma, se guardiamo ai rapporti tra gli individui e le possibilità di inventare delle storie efficaci, non poi così diversi. Alla fine, la letteratura ha proprio questo pregio: raccontare gli uomini molto meglio di qualsiasi saggio, anche come capacità di descriverne aspetti nuovi.
Tuttavia, ma ho una conoscenza superficiale di questi autori e di questa letteratura, mi sembra che se è presente un grande coraggio a raccontare rapporti e conflitti, manchi invece l'aspetto innovativo e creativo che ha invece caratterizzato l'apice della letteratura occidentale. Insomma, è come se la globalizzazione avesse sì aperto delle possibilità d'espressione ad autori non occidentali, ma mandando indietro, al 1800, le possibilità della letteratura, dell'oggetto romanzo e del "personaggio uomo". Come se da quelle parti De Benedetti non ci fosse stato.
Ne "I testamenti traditi", proprio Kundera vedeva aprirsi ri-aprirsi la libertà creativa del romanzo (quella di Sterne e Cervantes, ma anche di Joyce e Musil) proprio in Medio Oriente e in India. Ma erano i tempi de "I figli della mezzanotte", e Rushdie è un autore formatosi sulla letteratura di Sterne e di Joyce. Poi? Questi mi sembrano bravi, ma ottocenteschi e per buona parte pronti per il cinema.
Parafrasando Bellow, liberamente (e col terrore d'essere frainteso): dov'è il loro Joyce? Dov'è il loro Proust? Vorrei tanto conoscerlo.
Grazie ragazzi.
A mio parere, il bello della nuova narrativa mediorientale è che racconta storie originali e lo fa con un linguaggio comprensibile e diretto senza essere superficiale e stucchevole, non gira attorno al nulla, non si sofferma sulla psicologia di personaggi intenti a guardarsi l'ombelico. Sarà che le società europee sono infinitamente meno interessanti? E poi si tratta di storie e punti di vista che noi non conosciamo, che non possiamo neanche immaginare, abituati come siamo a un eurocentrismo autocompiacente
:-)
D'accordo con te sull'eurocentrismo autocompiacente. Oggi, dal giardino sentivo il mio vicino commentare così lo svarione di 3 milioni di schede nei risultati iraniani: - Non sanno neanche contare, 'sti islamici. Li hanno inventato loro i numeri, ma li hanno dimenticati perché devono studiare il corano a memoria".
Inutile spiegargli che il corano non lo studiano, purtroppo, come i cattolici non studiano il Vangelo. Entrambi danno per scontato che basti la vulgata, andare a messa, pensare che la religione sia solo tradizione ecc.
Vabbé. Ci si assomiglia, anche se distanti.
Per quanto riguarda la narrativa di quei paesi, di solito mi fido del tuo giudizio Rob, ma devo ammettere che per il momento non mi ha entusiasmato. Aspetto il Joyce, o anche il Céline. Per il momento quello che sento più audace è Pamuk, che effettivamente, come Rusdhie per l'India, è quello che osa maggiormente con le contaminazioni e ha ben chiaro il magistero del modernismo.
Penso anch'io che la loro società sia per molti aspetti più interessante. O meglio: non decadente e alla frutta come la nostra. Tuttavia, se devo scegliere, continuo a preferire i giovani americani, che secondo me osano di più. "La fortezza della solitudine", di Jonathan Lethem, secondo me è un capolavoro. Vale lo stesso per Richard Powers. Non vado pazzo David Foster Wallace, e l'ho anche scritto, ma penso che uno come lui ci vorrebbe anche in Medio Oriente. Per capacità d'osare e talento smisurato.
Ciao.
Ne riparleremo.
Di una cosa, però, sono sempre più convinto: il narratore deve raccontare storie e "l'intellettuale" deve esercitare la critica sulla società. Quando il romanziere si mette in testa di fare l'intellettuale e viceversa... ne escono libri pretenziosi e privi di pathos.
Un abbraccio
Mi metti in crisi :-)
Secondo te un intellettuale può fare il romanziere, smettendo d'essere intellettuale quando lo fa?
Adesso sei tu che mi metti in crisi :-)
Diciamo che un intellettuale, se decide di scrivere un romanzo, dovrebbe farlo perchè avverte l'irrefrenabile necessità di raccontare qualcosa e non per (come accade troppo spesso) per convincere altri della bontà delle proprie tesi.
E soprattutto non dovrebbe dare per scontato che il mondo è lì, ansioso di conoscere ogni prospettiva possibile sul suo ombelico.
:-)
Ih ih ih... :-))))))
l'autofiction sta facendo un bel po' di danni in Italia, e anche quelli che fanno dell'Epic su Einaudi con piglio situazionista ("per sovvertire il sistema all'interno del sistema").
Chi ha orecchie per intendere, intenda. In questo caso, molto meglio i mediorientali. Concordo...
;-)
Posta un commento