venerdì 17 aprile 2009

Colonialismo in noir, torna il maggiore Morosini, creatura letteraria di Giorgio Ballario

(Nella foto Giorgio Ballario, primo a sinistra)
Dal mensile Area di aprile 2009
Torna, a grande richiesta, l’epopea coloniale in tinta noir. E il quarantenne Aldo Morosini, maggiore dei carabinieri in servizio nell’Eritrea italiana, si appresta a una seconda indagine. La creatura letteraria del torinese Giorgio Ballario non avrà raggiunto la popolarità di un “collega” celebrato come il commissario Montalbano ma si è già conquistata – a colpi di passaparola – una folta e appassionata schiera di lettori. Se nel romanzo d’esordio, Morire è un attimo (Angolo Manzoni, 2008) – tra i libri più votati dalla giuria popolare nell’ultima edizione del premio Scerbanenco – ha risolto brillantemente un caso di duplice omicidio a Massaua, delitti sbrigativamente addebitati agli agenti del Negus, in Una donna di troppo (la cui uscita è prevista ad aprile, sempre per la piccola casa editrice piemontese) Morosini sarà chiamato a Mogadiscio per misurarsi con morti altrettanto misteriose che rendono ancora più pesante il clima di avvicinamento all’offensiva militare nei confronti dell’Abissinia. Sì, perché il nuovo romanzo è ambientato nell’estate del 1935, appena pochi mesi dopo rispetto al precedente e nell’imminenza dello scoppio delle ostilità. Ed ecco che tra i personaggi spunta colui che guiderà le operazioni militari, Rodolfo Graziani, tanto inviso alle alte sfere militari quanto apprezzato dal duce.
Sarà lo stesso Benito Mussolini a scrivere di proprio pugno la prefazione di Fronte Sud, l’autobiografia di Rodolfo Graziani (Mondadori, 1938), “bestseller” dell’epoca utilizzato dall’autore come preziosa fonte documentale.
Pur trattandosi di un’opera di fantasia, infatti, la narrazione è sapientemente intrecciata con le vicende storiche e l’ambientazione risulta impeccabile. Il porto di Massaua, solitamente indolente e sonnacchioso, brulicante di nuovi arrivi. I commerci che si intensificano. La vita che si anima con spettacoli, riviste e concerti direttamente provenienti dai cartelloni dei teatri italiani. Il microambiente familiare che si ricrea in terra eritrea: il cinema Impero, l’albergo Savoia, il ristorante Mario, i piccoli caffè di piazza Garibaldi – non a caso i garibaldini votarono a favore della guerra – le case di tolleranza gestite da maitresses italiane e i bordelli indigeni.
Sembra quasi di essersi. Insieme a Morosini attraversiamo l’infernale deserto della Dancalia, i rigogliosi altopiani di Cheren e Asmara, l’antica città di Adùli, la capitale, uno dei centri più all’avanguardia dell’intera Africa con le sue strade vivaci, le ville eleganti e i nuovi quartieri in costruzione che sostituiscono le baracche in legno e lamiera. Una città trasformata in un enorme cantiere. Uno sviluppo urbanistico che investe l’intera regione e che è stato conservato con cura negli anni a seguire. «Si costruivano strade e ponti, si ampliavano le linee ferroviarie, si attrezzavano i vecchi porticcioli sul mar Rosso. Interi villaggi – racconta Ballario nell’opera prima – venivano su dall’oggi al domani. C’era del vero nella propaganda del Duce».
Tanti connazionali, nati e cresciuti nell’Africa italiana, intervenuti alle presentazioni di Morire è un attimo a Roma, Firenze, Milano e Torino, hanno testimoniato la bontà della ricostruzione dell’autore. Senza velleità revisionistiche, Ballario – classe ’64, collaboratore negli anni Ottanta di Diorama Letterario ed Elementi, poi redattore a L’Indipendente e al Borghese e attualmente in forza alla Stampa – demolisce i tanti luoghi comuni che rappresentano il nostro colonialismo come straccione, predatorio e razzista e contribuisce a far conoscere un’esperienza che appartiene a pieno titolo alla nostra memoria collettiva, eppure studiata poco e male nelle scuole, dimenticata, per non dire rimossa, dalla cultura nazionale, dalla letteratura come dal cinema.
Un vero peccato, perché attraverso romanzi e film sarebbe stato senz’altro più facile raccontare un fenomeno che ha avuto una forte valenza sociale, trattandosi di una grande emigrazione di persone che in Italia non avevano neanche visto il mare e improvvisamente si trovavano catapultati in una realtà sconosciuta. Migliaia di italiani inebriati dalla suggestione di una nuova vita: una pagina bianca da scrivere o il necessario completamento di quella scritta in patria. Un’umanità variopinta descritta mirabilmente da Ballario in Morire è un attimo: «Giovani di belle speranze, padri di famiglia in cerca di un salario migliore, impiegati pubblici desiderosi di far carriera, militari ambiziosi o in punizione, commercianti dinamici e mercanti senza scrupoli, industriali geniali o con gli amici giusti a Roma, missionari coraggiosi e pretini incapaci, spediti a farsi le ossa in Africa. E ancora avventurieri di ogni risma, sognatori romantici, universitari dei Guf sbarcati in Eritrea per rifondare l’Impero, facinorosi alla ricerca di un sistema legale per menare le mani, idealisti e donne di facili costumi, ragazze di buona famiglia in cerca di marito e papponi, teorici dell’uomo nuovo fascista e insegnanti precari alla caccia di una qualsiasi cattedra».
Morosini non appartiene a nessuna di queste categorie in particolare. Non è stata l’ambizione a portarlo nel continente nero, né un accentuato spirito di avventura. Non è il colonialista becero animato da spirito “civilizzatore”, né tantomeno un supereroe. È una persona normale che cerca di fare il suo dovere ma ben lontano dallo stereotipo dell’ufficiale tutto d’un pezzo. Al contrario, vacilla di fronte all’improvvisa comparizione di una sua ex fiamma, l’attrice Virginia Mariani in tournée nell’Africa italiana, e cerca risposte nel De brevitate vitae di Seneca. Fa suo l’invito del filosofo latino a non perdere tempo, a non correre il rischio di sprecare la vita nel lusso e nell’indifferenza. Perché – come recita il titolo del libro – morire è un attimo e bisogna farsi trovare pronti. «Come puoi ritenere che abbia molto navigato uno che una violenta tempesta ha sorpreso fuori dal porto e lo ha sbattuto di qua e di là, e lo ha fatto girare in tondo entro lo stesso spazio, in balia di venti che soffiano da direzioni opposte? Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto».
Accanto a lui, nel primo come nel secondo romanzo, due personaggi altrettanto importanti: il fedele sottoufficiale Barbagallo e Tesfaghì, lo sciumbasci, il graduato delle truppe indigene. Un ruolo, quello degli Zaptiè, sin troppo trascurato dalla storiografia ufficiale. Eppure il loro attaccamento alla bandiera italiana è spesso e volentieri maggiore di quello degli italiani stessi. «Signor maggiore – spiega Tesfaghì – io non istruito e non capire molto di quello che voi bianchi chiamare politica. Io capire solo cose concrete, di tutti i giorni. Da molti anni io soldato del re d’Italia, come già mio padre. Ricevo buona paga e sono rispettato. Mia moglie compra mangiare tutti giorni e figli piccolini vanno a scuola e ricevere buon vaccino per malattie. Una volta non così. E pure adesso, per popoli vicini, non così. Se io nascevo più in là, in regno Negus, forse adesso schiavo di ras e i miei figli morire di fame». Una considerazione quanto mai attuale.
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1 commento:

Giorgio Ballario ha detto...

Grazie Roberto, come sempre.
L'uscita del nuovo romanzo "una donna di troppo" era prevista per metà maggio, in corrispondenza con la Fiera del Libro di Torino; ma forse per ragioni legate a questioni commerciali e distributive (non sto ad annoiare con i dettagli) potrebbe slittare a settembre. Ti terrò aggiornato.